giovedì 12 giugno 2008
Polsini
Il Sacripante loves Miroslav Fagocevic
www.sacripante.com
Gli è venuta la bocca così, all'ingiù, un giorno di settembre. No, i campi da tennis non avevano chiuso i loro cancelli pieni di ruggine e no, il rivenditore di polsini in cotone uzbeko non era fallito. Semplicemente quel giorno di settembre del '62 un vecchio l'aveva preso da parte, per le strade di Samarcanda. E il giovane Miroslav Fagocevic aveva seguito quell'uomo senza sapere cosa gli sarebbe accaduto, ignaro come era del destino che l'avrebbe portato a giocare a tennis sulle Alpi, contro il principe del Liechtestein.
Saputo quel che il vecchio aveva da dirgli, il nostro ha preso racchetta e polsini -un'intera collezione che occupava più spazio delle polo in valigia- ed è partito alla volta del Liechtestein.
Aveva cominciato ad avere dei dubbi sull'importanza di Samarcanda nel mondo già l'anno precedente, ma alla fine aveva deciso che anche se Marco Polo aveva snobbato quello svincolo determinante nella via della seta poco importava, probabilmente quel veneziano insulso non era all'altezza delle mirabolanti bellezze della sua città.
Poi era arrivata l'epoca della mafia uzbeka, la mafia del cotone. Charaf Rachidov, dirigente uzbeko d'allora, sembra gonfiasse le statistiche della produzione di cotone del suo paese. Paese sul quale la grande Unione Sovietica contava per fabbricare magliette, mutande e -pochi, troppo pochi- polsini. Così i giornali avevano iniziato a parlare di "cotone immaginario", un'espressione che rivela una capacità creativa antica da parte degli uzbeki -d'altra parte il grande poeta persiano Omar Khayyam vi ha soggiornato due anni prima di partire per Esfahan.
Ma Miroslav non ci faceva caso, lui giocava a tennis. E chi se lo dimentica poeticamente vestito di abiti simil-occidentali -credetemi il "simil" in questo caso è un vero e proprio eufemismo. Come ci dava dentro Miroslav. Dritto. Rovescio. A sudare dentro i suoi pantaloncini corti, molto corti, con due linee verticali sui bordi.
Eppure, un giorno, come vi dicevo, Miroslav è partito per il Liechtestein. E la verità è che Misoroslav Fagocevic ha affascinato tutti gli abitanti del principato, grazie al suo stile tennistico all'antica, certo, ma anche grazie a quel fare uzbeko, tra il trash e il poetico, che si porta dietro. Non è stato difficile, quindi, organizzare una partita tra il principe e il nostro, nel parco della residenza principesca.
Con queste parole Miroslav salutava la folla venuta ad assistere alla partita: "Vi ringrazio di essere venuti, popoli del Liechtestein (nessuno ha avvisato Miroslav sulla poca eterogeneità della popolazione del Liechtestein). Brindo ai nostri due grandi paesi, l'Uzbekistan e il Liechtestein, gli unici due paesi al mondo che devono attraversare altri due stati per raggiungere l'oceano mondiale".
domenica 8 giugno 2008
Esclusivo!!! Intervista a Miroslav Fagocevic
Los Angeles, 2 agosto 1984. La XXIII edizione dei giochi olimpici, che saluta il ritorno del tennis come disciplina dopo il 1924, risulta pesantemente condizionata dal boicottaggio dei paesi del blocco sovietico. Miroslav Fagocevic giunge all'appuntamento in forma strepitosa forte di un'impressionante sequenza di vittorie. Se in Europa e in patria è indicato come l'astro nascente del tennis, in America e in California, dove vive da sette anni senza la possibilità di disputare tornei ufficiali, Fagocevic è chiamato a guadagnarsi il gradino più alto verso la conquista dello scettro del tennis mondiale.
"Avevo una casa scalcinata a Compton, John veniva da me tutte le sere. Dopo il fattaccio e la notizia della mia esclusione dalle olimpiadi eravamo diventati ancora più amici. Ci sbronzavamo con la Rakja che mi mandava mia sorella nascosta nei tubi delle palle da tennis, eravamo come fratelli, anzi molti ci scambiavano proprio per parenti, giravamo assieme, ci piacevano le donne, le stratocaster, le gomme da masticare e i riff di Pete Townsend. Ci conoscevano tutti giù a Rodeo Drive, Reggie Sullivan, lo speaker di WBCH Sport aveva preso a chiamarci i gemellini, per via del fatto che eravamo alti uguali e spesso vestiti allo stesso modo. Sul campo gliele ho sempre suonate, troppo suggestionabile a rete, troppo mezzo-sangue, troppo yankee, ma nonostante tutto la star era lui, in fondo fu proprio lui a battermi quella volta agli Open dopo che l'Fbi mi aveva torturato per tutta la notte senza lasciarmi chiudere occhio.
C'era anche John quel giorno a casa mia quando suonarono alla porta due tizi piuttosto robusti vestiti in blu. Faccia di cuoio, mani impazienti. Mentre il primo mi mostrava documenti e scartoffie dei servizi russi, il secondo riduceva in polpa rossa le gambe di John. Lo portarono via nel bagagliaio senza fare rumore. Mi ordinarono di tagliarmi la barba e di presentarmi al villaggio olimpico, con la faccia e il nome di John Mcenroe appiccicato al pass e sui tabelloni. Senza barba la somiglianza era impressionante, tutti si bevvero la storia, persino sua moglie Rondha. Quell'anno fui io a conquistare la medaglia e fui io più tardi a ridurre in cenere Connors e Lendl conquistando gli Open e Wimbledon. Durante gli spostamenti per le tournee mi chiedevano di raccogliere informazioni, di consegnare rullini fotografici o strane diapostive. Durò fino al 93, quando le cose si complicarono con la vicenda dell'accoltellamento di Monica Seles, l'anno in cui mi fecero reincontrare John. Da allora porto addosso i segni di vent'anni di fughe e segreti mentre in faccia conservo ancora quelli della racchetta di John Mcenroe.
"Avevo una casa scalcinata a Compton, John veniva da me tutte le sere. Dopo il fattaccio e la notizia della mia esclusione dalle olimpiadi eravamo diventati ancora più amici. Ci sbronzavamo con la Rakja che mi mandava mia sorella nascosta nei tubi delle palle da tennis, eravamo come fratelli, anzi molti ci scambiavano proprio per parenti, giravamo assieme, ci piacevano le donne, le stratocaster, le gomme da masticare e i riff di Pete Townsend. Ci conoscevano tutti giù a Rodeo Drive, Reggie Sullivan, lo speaker di WBCH Sport aveva preso a chiamarci i gemellini, per via del fatto che eravamo alti uguali e spesso vestiti allo stesso modo. Sul campo gliele ho sempre suonate, troppo suggestionabile a rete, troppo mezzo-sangue, troppo yankee, ma nonostante tutto la star era lui, in fondo fu proprio lui a battermi quella volta agli Open dopo che l'Fbi mi aveva torturato per tutta la notte senza lasciarmi chiudere occhio.
C'era anche John quel giorno a casa mia quando suonarono alla porta due tizi piuttosto robusti vestiti in blu. Faccia di cuoio, mani impazienti. Mentre il primo mi mostrava documenti e scartoffie dei servizi russi, il secondo riduceva in polpa rossa le gambe di John. Lo portarono via nel bagagliaio senza fare rumore. Mi ordinarono di tagliarmi la barba e di presentarmi al villaggio olimpico, con la faccia e il nome di John Mcenroe appiccicato al pass e sui tabelloni. Senza barba la somiglianza era impressionante, tutti si bevvero la storia, persino sua moglie Rondha. Quell'anno fui io a conquistare la medaglia e fui io più tardi a ridurre in cenere Connors e Lendl conquistando gli Open e Wimbledon. Durante gli spostamenti per le tournee mi chiedevano di raccogliere informazioni, di consegnare rullini fotografici o strane diapostive. Durò fino al 93, quando le cose si complicarono con la vicenda dell'accoltellamento di Monica Seles, l'anno in cui mi fecero reincontrare John. Da allora porto addosso i segni di vent'anni di fughe e segreti mentre in faccia conservo ancora quelli della racchetta di John Mcenroe.
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giovedì 15 maggio 2008
Miroslav Fagocevic Story
Nasce a Samarcanda (Uzbekistan) il 5 marzo 1959 da un militare di origini croate e una donna uzbeka. Il padre li abbandona quando Miroslav ha 6 anni, con la madre si trasferisce nella provincia uzbeka.
Inizia a giocare nel campo del paesino, costruito senza mezzi da Shavrat Karinov, un appassionato locale, "un pazzo visionario, un Leonardo Da Vinci uzbeko, un grande bevitore". Nella sua biografia "La palla andava un po’ dove voleva" (1990, Edizioni Net) racconta che il campo, in leggerissima pendenza, era stato scavato nella terra e le asperità naturali residue e ineliminabili potevano imprimere alle palle giocate effetti imprevedibili. La rete era formata da reti da pesca cucite a mano dalla moglie. "Dopo aver giocato su quel campo, giocare su uno normale era una passeggiata". Sempre Karimov gli costruisce artigianalmente una perfetta racchetta a forma di badile che lo distinguerà per la prima parte della sua carriera.
A 12 anni i suoi genitori si riuniscono e, dopo aver passato un paio d’anni in Molvania, si trasferiscono a Minsk (Bielorussia). Assecondando la sua predilezione, il padre lo presenta a Yevgeni Berbetov, modesto giocatore degli anni 50 e 60, vincitore di una Coppa Davis nel 1953. Berbetov rimane colpito dal suo rovescio a due mani, dalla straordinaria capacità di improvvisazione e di arrivare su ogni palla.
Partecipa al suo primo torneo internazionale a 17 anni. Nel 1977 vince inaspettatamente gli Internazionali di Roma imponendosi su un incredulo Nicola Pietrangeli al tie-break. Questa vittoria gli vale una wild card per gli Australian Open dell'anno successivo, che vince a sorpresa, imponendosi in finale contro l'argentino Guillermo Vilas, diventando il più giovane vincitore del torneo.
Problemi di visto gli impediscono di partecipare al Roland Garros e a Wimbledon. Riesce a raggiungere rocambolescamente gli Stati Uniti per gli US Open. Dopo una marcia trionfale con due soli set persi arriva in semifinale in cui deve affrontare John McEnroe, La notte prima del match viene prelevato dai servizi segreti americani con l'accusa di spionaggio. Dopo una notte di interrogatori viene rilasciato senza alcuna accusa, ma il giorno dopo, sfiancato dalla notte in bianco, McEnroe non gli concede neanche un set chiudendo con un secco 7-5 6-3 6-2, per poi andare a vincere il suo primo torneo del Grande Slam contro il mediocre Vitas Gerulaitis. Deluso dal trattamento subito e sicuro di avere avuto possibilità di vittoria, accusa McEnroe e lo stato americano di avergli fatto perdere il match di proprosito.
In quei giorni conosce Sarah Eleanor Wilbur, modesta tennista ma ricca ereditiera in quanto nipote di Vincent Colgate, magnate del dentifricio. I due si innamorano perdutamente e Fagocevic decide di stabilirsi a Los Angeles. Si sposano a Las Vegas dopo pochi giorni. Armato di insana pigrizia Fagocevic si lascia viziare dall'avvenente e benestante moglie, tanto che, all'età di 20 anni, nonostante sia universalmente considerato "the next big thing " del tennismo internazionale alla pari di John McEnroe e Bjorn Borg, abbandona l'attività tennistica "per dedicarsi all'ozio e ai vizi". Il matrimonio prosegue tra continui e anche violenti litigi, provocati dal suo permanente stato di ebbrezza e dalla sua passione per il gioco ("un tiro di dadi è sempre più comodo di una volèè") le prostitute ("le donne più fedeli"), e appassionate riappacificazioni, condite con stravaganti manifestazioni d'amore (racconta la Wilson che "una volta riempì la nostra stanza con uno strato di due metri di palline da tennis, io lo perdonai e facemmo all'amore lì sopra"). Diventa amico intimo e compagno di bagordi di John Belushi. La sera in cui morì Belushi era il compleanno di Fagocevic. I due stavano festeggiando in compagnia di Robin Williams, Jack Nicholson, Robert De Niro. Fagocevic si ruppe il naso in un tamponamento nel disperato tentativo di trasportare Belushi nel vicino ospedale.
La storia con la Wilbur finisce tre anni più tardi. Fagocevic, ingrassato di 15 chili e perseguitato dai creditori, decide di tornare all'attività agonistica. Il suo ritorno viene acclamato dagli appassionati e dalla critica, oltre ad essere visto come un’occasione commerciale ghiottissima. La Fischer produce una racchetta, la Fago2000, col suo nome e la tipica forma a badile (la racchetta si rivela un fiasco commerciale, ma ora gli esemplari esistenti valgono miliardi). I primi risultati però non soddisfano le aspettative. Dopo tre eliminazioni al primo turno riacquista il peso forma e tra il 1983 e il 1986 vince alcuni tornei, raggiungendo anche i quarti di finale degli Australian Open nel 1984 e la semifinale del Roland Garros nel 1985. Nonostante la sua ripresa, non ha più la brillantezza che l'aveva contraddistinto nei primi anni della carriera. Si dice che non conduca propriamente la vita dello sportivo, che ecceda nell'assunzione di alcolici, che disputi e vinca alcune delle sue miglori partite in stato di alterazione ("Sono uzbeko, quindi sono un grande bevitore. Se bevo durante le partite? Diciamo di no, ma se lo facessi non avrei problemi a dissimularlo. E poi non sarei certo il primo, Jimbo (Jimmy Connors, nda) lo faceva, e mi pare che nessuno gli abbia mai detto niente").
Nel giugno 1986 annuncia a sorpresa il suo ritiro, a causa (o come dice lui "con la scusa") di un'epicondilite cronica che gli impedisce di esprimersi al meglio. Per il mondo del tennis è la morte di una stella che ha brillato per poco per poi spegnersi lentamente. Prende seconde nozze con la tennista spagnola Mariangeles Perez Higuella e si ritira a Campotejas, un piccolo borgo di campagna semidisabitato a pochi chilometri da Granada, dove grazie al suo nome apre una scuola di tennis. Conosce Camaròn De La Isla, il più grande cantante flamenco di tutti i tempi, appassionato di tennis e grande amante degli stupefacenti. E' proprio il cantante che gli affibia il nome di El Gitano de Rusia, come poi si chiamerà la sua piccola scuola di tennis. I due si frequentano fino alla morte del cantante, avvenuta nel 1992.
Allena un dodicenne Rafael Nadal, che però lo abbandona per la sua severità e i modi rudi.
Successivamente frequenta Joe Strummer, ex cantante dei Clash, anch'egli ritiratosi in Andalusìa a vivere della rendita dei suoi best seller. Si dice che intessano un'amicizia profonda, e che fu proprio Fagocevic a convincere Strummer a riprendere a suonare con i Mescaleros nel 1995. Alla sua morte nel 2002, afferma "tutti i miei più grandi amici sono morti. Forse sono il più fortunato. A me piace pensare di essere solo il più resistente".
Attualmente continua a vivere a Campotejas in compagnia della moglie e dei cani John e Bjorn.
Inizia a giocare nel campo del paesino, costruito senza mezzi da Shavrat Karinov, un appassionato locale, "un pazzo visionario, un Leonardo Da Vinci uzbeko, un grande bevitore". Nella sua biografia "La palla andava un po’ dove voleva" (1990, Edizioni Net) racconta che il campo, in leggerissima pendenza, era stato scavato nella terra e le asperità naturali residue e ineliminabili potevano imprimere alle palle giocate effetti imprevedibili. La rete era formata da reti da pesca cucite a mano dalla moglie. "Dopo aver giocato su quel campo, giocare su uno normale era una passeggiata". Sempre Karimov gli costruisce artigianalmente una perfetta racchetta a forma di badile che lo distinguerà per la prima parte della sua carriera.
A 12 anni i suoi genitori si riuniscono e, dopo aver passato un paio d’anni in Molvania, si trasferiscono a Minsk (Bielorussia). Assecondando la sua predilezione, il padre lo presenta a Yevgeni Berbetov, modesto giocatore degli anni 50 e 60, vincitore di una Coppa Davis nel 1953. Berbetov rimane colpito dal suo rovescio a due mani, dalla straordinaria capacità di improvvisazione e di arrivare su ogni palla.
Partecipa al suo primo torneo internazionale a 17 anni. Nel 1977 vince inaspettatamente gli Internazionali di Roma imponendosi su un incredulo Nicola Pietrangeli al tie-break. Questa vittoria gli vale una wild card per gli Australian Open dell'anno successivo, che vince a sorpresa, imponendosi in finale contro l'argentino Guillermo Vilas, diventando il più giovane vincitore del torneo.
Problemi di visto gli impediscono di partecipare al Roland Garros e a Wimbledon. Riesce a raggiungere rocambolescamente gli Stati Uniti per gli US Open. Dopo una marcia trionfale con due soli set persi arriva in semifinale in cui deve affrontare John McEnroe, La notte prima del match viene prelevato dai servizi segreti americani con l'accusa di spionaggio. Dopo una notte di interrogatori viene rilasciato senza alcuna accusa, ma il giorno dopo, sfiancato dalla notte in bianco, McEnroe non gli concede neanche un set chiudendo con un secco 7-5 6-3 6-2, per poi andare a vincere il suo primo torneo del Grande Slam contro il mediocre Vitas Gerulaitis. Deluso dal trattamento subito e sicuro di avere avuto possibilità di vittoria, accusa McEnroe e lo stato americano di avergli fatto perdere il match di proprosito.
In quei giorni conosce Sarah Eleanor Wilbur, modesta tennista ma ricca ereditiera in quanto nipote di Vincent Colgate, magnate del dentifricio. I due si innamorano perdutamente e Fagocevic decide di stabilirsi a Los Angeles. Si sposano a Las Vegas dopo pochi giorni. Armato di insana pigrizia Fagocevic si lascia viziare dall'avvenente e benestante moglie, tanto che, all'età di 20 anni, nonostante sia universalmente considerato "the next big thing " del tennismo internazionale alla pari di John McEnroe e Bjorn Borg, abbandona l'attività tennistica "per dedicarsi all'ozio e ai vizi". Il matrimonio prosegue tra continui e anche violenti litigi, provocati dal suo permanente stato di ebbrezza e dalla sua passione per il gioco ("un tiro di dadi è sempre più comodo di una volèè") le prostitute ("le donne più fedeli"), e appassionate riappacificazioni, condite con stravaganti manifestazioni d'amore (racconta la Wilson che "una volta riempì la nostra stanza con uno strato di due metri di palline da tennis, io lo perdonai e facemmo all'amore lì sopra"). Diventa amico intimo e compagno di bagordi di John Belushi. La sera in cui morì Belushi era il compleanno di Fagocevic. I due stavano festeggiando in compagnia di Robin Williams, Jack Nicholson, Robert De Niro. Fagocevic si ruppe il naso in un tamponamento nel disperato tentativo di trasportare Belushi nel vicino ospedale.
La storia con la Wilbur finisce tre anni più tardi. Fagocevic, ingrassato di 15 chili e perseguitato dai creditori, decide di tornare all'attività agonistica. Il suo ritorno viene acclamato dagli appassionati e dalla critica, oltre ad essere visto come un’occasione commerciale ghiottissima. La Fischer produce una racchetta, la Fago2000, col suo nome e la tipica forma a badile (la racchetta si rivela un fiasco commerciale, ma ora gli esemplari esistenti valgono miliardi). I primi risultati però non soddisfano le aspettative. Dopo tre eliminazioni al primo turno riacquista il peso forma e tra il 1983 e il 1986 vince alcuni tornei, raggiungendo anche i quarti di finale degli Australian Open nel 1984 e la semifinale del Roland Garros nel 1985. Nonostante la sua ripresa, non ha più la brillantezza che l'aveva contraddistinto nei primi anni della carriera. Si dice che non conduca propriamente la vita dello sportivo, che ecceda nell'assunzione di alcolici, che disputi e vinca alcune delle sue miglori partite in stato di alterazione ("Sono uzbeko, quindi sono un grande bevitore. Se bevo durante le partite? Diciamo di no, ma se lo facessi non avrei problemi a dissimularlo. E poi non sarei certo il primo, Jimbo (Jimmy Connors, nda) lo faceva, e mi pare che nessuno gli abbia mai detto niente").
Nel giugno 1986 annuncia a sorpresa il suo ritiro, a causa (o come dice lui "con la scusa") di un'epicondilite cronica che gli impedisce di esprimersi al meglio. Per il mondo del tennis è la morte di una stella che ha brillato per poco per poi spegnersi lentamente. Prende seconde nozze con la tennista spagnola Mariangeles Perez Higuella e si ritira a Campotejas, un piccolo borgo di campagna semidisabitato a pochi chilometri da Granada, dove grazie al suo nome apre una scuola di tennis. Conosce Camaròn De La Isla, il più grande cantante flamenco di tutti i tempi, appassionato di tennis e grande amante degli stupefacenti. E' proprio il cantante che gli affibia il nome di El Gitano de Rusia, come poi si chiamerà la sua piccola scuola di tennis. I due si frequentano fino alla morte del cantante, avvenuta nel 1992.
Allena un dodicenne Rafael Nadal, che però lo abbandona per la sua severità e i modi rudi.
Successivamente frequenta Joe Strummer, ex cantante dei Clash, anch'egli ritiratosi in Andalusìa a vivere della rendita dei suoi best seller. Si dice che intessano un'amicizia profonda, e che fu proprio Fagocevic a convincere Strummer a riprendere a suonare con i Mescaleros nel 1995. Alla sua morte nel 2002, afferma "tutti i miei più grandi amici sono morti. Forse sono il più fortunato. A me piace pensare di essere solo il più resistente".
Attualmente continua a vivere a Campotejas in compagnia della moglie e dei cani John e Bjorn.
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