domenica 8 giugno 2008

Esclusivo!!! Intervista a Miroslav Fagocevic

Los Angeles, 2 agosto 1984. La XXIII edizione dei giochi olimpici, che saluta il ritorno del tennis come disciplina dopo il 1924, risulta pesantemente condizionata dal boicottaggio dei paesi del blocco sovietico. Miroslav Fagocevic giunge all'appuntamento in forma strepitosa forte di un'impressionante sequenza di vittorie. Se in Europa e in patria è indicato come l'astro nascente del tennis, in America e in California, dove vive da sette anni senza la possibilità di disputare tornei ufficiali, Fagocevic è chiamato a guadagnarsi il gradino più alto verso la conquista dello scettro del tennis mondiale.
"Avevo una casa scalcinata a Compton, John veniva da me tutte le sere. Dopo il fattaccio e la notizia della mia esclusione dalle olimpiadi eravamo diventati ancora più amici. Ci sbronzavamo con la Rakja che mi mandava mia sorella nascosta nei tubi delle palle da tennis, eravamo come fratelli, anzi molti ci scambiavano proprio per parenti, giravamo assieme, ci piacevano le donne, le stratocaster, le gomme da masticare e i riff di Pete Townsend. Ci conoscevano tutti giù a Rodeo Drive, Reggie Sullivan, lo speaker di WBCH Sport aveva preso a chiamarci i gemellini, per via del fatto che eravamo alti uguali e spesso vestiti allo stesso modo. Sul campo gliele ho sempre suonate, troppo suggestionabile a rete, troppo mezzo-sangue, troppo yankee, ma nonostante tutto la star era lui, in fondo fu proprio lui a battermi quella volta agli Open dopo che l'Fbi mi aveva torturato per tutta la notte senza lasciarmi chiudere occhio.

C'era anche John quel giorno a casa mia quando suonarono alla porta due tizi piuttosto robusti vestiti in blu. Faccia di cuoio, mani impazienti. Mentre il primo mi mostrava documenti e scartoffie dei servizi russi, il secondo riduceva in polpa rossa le gambe di John. Lo portarono via nel bagagliaio senza fare rumore. Mi ordinarono di tagliarmi la barba e di presentarmi al villaggio olimpico, con la faccia e il nome di John Mcenroe appiccicato al pass e sui tabelloni. Senza barba la somiglianza era impressionante, tutti si bevvero la storia, persino sua moglie Rondha. Quell'anno fui io a conquistare la medaglia e fui io più tardi a ridurre in cenere Connors e Lendl conquistando gli Open e Wimbledon. Durante gli spostamenti per le tournee mi chiedevano di raccogliere informazioni, di consegnare rullini fotografici o strane diapostive. Durò fino al 93, quando le cose si complicarono con la vicenda dell'accoltellamento di Monica Seles, l'anno in cui mi fecero reincontrare John. Da allora porto addosso i segni di vent'anni di fughe e segreti mentre in faccia conservo ancora quelli della racchetta di John Mcenroe.

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